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Published on Giugno 3rd, 2010 | by Nidil_Firenze

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Lo scontento dei bamboccioni

rosaQuesta settimana abbiamo prescelto due temi su cui concentrare la rassegna stampa.

Il primo tema è la selva di commenti alla presentazione in Parlamento del rapporto annuale dell’ISTAT. A parte il caso del Giornale quale, accanendosi sul dito invece di guardare la luna, si inalbera sostenendo che l’ISTAT dovrebbe dare numeri e non giudizi, la preoccupazione dilaga su tutti i mezzi di stampa: il manifesto e Il Sole 24 Ore titolano all’unisono ‘Non è un paese per giovani’. Il dato ritenuto unanimemente più preoccupante è cioè la mancanza di uno spazio in cui possano collocarsi i giovani adulti italiani: tra i 15 e i 29 anni una persona su cinque ricade nella categoria “neet”, ovvero “neither in employment nor in education or training”, né al lavoro né in formazione: è il doppio della media OCSE, e in numeri assoluti fa due milioni.

La Stampa chiarisce meglio la caratterizzazione italiana del fenomeno: in Spagna la crisi ha colpito i giovani più duramente che da noi, ma per loro esiste un’offerta formativa che li sottrae dal limbo “neet”.

Fino a pochi mesi fa erano i vituperati “bamboccioni”, oggi la loro condizione è sempre meno invidiabile, come riporta Repubblica: la percentuale dei 18-34enni conviventi con i genitori che dichiarano “sto bene così, mantengo la mia autonomia” è scesa dal 41% del 2003 al 31% di oggi.

Una lettura più complessa e forse più inquietante del fenomeno viene dalla sociologa della famiglia Chiara Saraceno su Repubblica, dal Sole 24 Ore e dall’Unità

La complessità sta nel fatto che l’impoverimento complessivo del paese non viene per ora rilevato in termini di deprivazione delle famiglie, perché il danno per la perdita o la mancanza di lavoro dei figli viene assorbito dalle famiglie, che continuano per ora a sopperire, con il lavoro a tempo indeterminato o la cassa integrazione dei genitori: se la perdita del reddito del figlio fa calare il reddito famigliare del 28%, la perdita del lavoro del padre lo avrebbe fatto calare del 50%.

Tutto bene, quindi? No, e non solo perché è il bacino di risorse per il futuro (competenze, progetti) si prosciuga: l’aspetto davvero inquietante è che questa bonaccia impedisce la consapevolezza e la reazione a questo lento declino.

E non va dimenticato che, poiché la precarizzazione del mercato del lavoro colpiva oltre ai giovani anche le donne, anche la disoccupazione femminile è nuovamente aumentata, portandoci al penultimo posto in Europa, come segnala Repubblica.

Il secondo tema che ci sembra meriti di essere menzionato è l’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale del PD di un documento sul lavoro.

La notizia trova spazio sull’Unità e sul Fatto Quotidiano a causa non tanto dei contenuti del documento quanto della polemica che ha accompagnato la sua approvazione, con Ignazio Marino e Pietro Ichino ad attaccare il documento e Stefano Fassina, Emilio Gabaglio e Cesare Damiano a difenderlo.

Troviamo su Internet una bozza del documento, che delinea una strategia in 10 punti per “promuovere il ‘diritto unico’ del lavoro”, lungo due linee: flex-security e diritti universali di cittadinanza.

La stragegia fondamentale sarebbe l’aumento del costo del lavoro precario tramite la maggiorazione degli oneri contributivi per finanziare il welfare universale. Ichino e Marino avrebbero preferito puntare su un “contratto unico”, che per aumentare le sicurezze di chi non ne ha alcuna indebolisse le sicurezze tradizionali di coloro che le hanno già.

Seguiremo con attenzione questo dibattito, ma soprattutto le scelte che ne conseguiranno.

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