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Published on Novembre 9th, 2009 | by Nidil_Firenze

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NON DIVIDIAMOCI SULL’UNIVERSITA’

“Non dividiamoci sull’università”. Questo è il titolo dell’editoriale di Galli Della Loggia (Corriere del 30 ottobre) in cui si commentava il disegno di legge Gelmini sull’Università con aggettivi come “sacrosanta”, “opportuna” e “riformatrice a 360 gradi”. Altri editorialisti e molte testate giornalistiche si sono unite al coro di approvazione. Repubblica, Riformista, Stampa, Corriere, Mattino, tutti ad elogiare le parole d’ordine attorno a cui è stato abilmente costruito il ddl: merito, valutazione, efficienza.

Ma cosa cambia? Rettori manager, CdA con almeno il 40% di esterni, monte ore di lavoro brunettiano per docenti e ricercatori, prestiti d’onore per gli studenti meritevoli al posto di borse di studio, commissariamento dello stato degli atenei in caso di dissesto contabile. Niente male, non trovate? E i lavoratori della conoscenza? A loro spetta la cancellazione dei contratti di ricercatore a tempo indeterminato e l’introduzione dei ricercatori a contratto!

A precarietà si aggiunge precarietà. Non bastavano anni di assegni di ricerca, contratti a progetto, docenze a contratto.. dopo la trasformazione in legge del ddl anche i ricercatori universitari, ovvero quella figura che oggi i 65mila precari della ricerca universitaria italiana considerano come il primo spiraglio di stabilità, diventeranno non strutturati. Un contratto 3 + 3, abilitazione nazionale e chiamata come docente-associato, tutto in dieci anni… elementare Watson! Questo è quello che candidamente Maria Stella Gelmini dichiara alle televisioni, giornali e settimanali (come in quella comparsa nell’ultimo numero del settimanale Oggi)

Ma quanto sono schizofreniche queste dichiarazioni? Il Ministro ha dimenticato di aver ridotto le risorse per il reclutamento alle università e di non aver fatto niente fino ad oggi per sbloccare fondi di ricerca essenziali come i Firb o i Prin. E poi, “nemmeno una parola per dire che qualcosa potrebbe andare storto, perché ottenere il contratto oggi è come vincere al superenalotto, perché l’abilitazione potrebbe non arrivare o perché le università non avranno i soldi per programmare le chiamate” (Burgio su Liberazione del 4 novembre).

Cosa ce ne facciamo di parole come merito e valutazione se oggi “l’Italia dà all’università la metà di quanto gli Usa danno ad Harvard […] e solo l’8% degli associati e meno dell’1% degli ordinari hanno meno di 40 anni (Anna Maria Sersale sul Messaggero del 6 novembre)?

Ma non preoccupatevi, i soldi arriveranno e la ricerca sarà salva, parola di Ministro. Si promette infatti che una parte dei proventi della sanatoria tombale fiscale (il cosiddetto scudo) saranno utilizzati per la ricerca. Peccato Stella che con una tantum non si possano supportare riforme pensate a costo zero!

Chissà se questa coltre di unanimismo presente nei giornali e nelle forze politiche (e meno male che il buon Marino continua la sua campagna elettorale post-primarie con l’intervista al Manifesto del 1° novembre) permetterà alle proteste di studenti e ricercatori precari di avere qualche successo. Perché come assicura Bruno Vespa sul Mattino del 31 ottobre: “le proteste, naturalmente, ci saranno. Provate a spostare un mobile vecchio e massiccio dopo trent’anni. Qualche tarma si sentirà disturbata e magari si troverà traccia di un sorcetto indispettito”.

Io non mi sento né tarma disturbata né sorcetto indispettito, come ricercatore precario vedo sempre meno spiragli per il mio futuro, al di là della qualità delle cose che ho pubblicato o del giudizio che riceverò da parte di una commissione chissà da chi composta.

Si parla tanto di merito ed efficienza, ma quanto può essere meritevole o efficiente un’istituzione alla canna del gas?


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