Che fine ha fatto il famoso accordo-quadro sulla riforma del sistema contrattuale firmato in pompa magna a palazzo Chigi il 20 gennaio 2009, con il dissenso della CGIL? Sembra desaparecido.
Infatti se si leggono i molti rinnovi dei contratti nazionali stipulati unitariamente (chimici, tessili, alimentaristi, terziario ecc.) di quell’accordo non vi è menzione. L’unico rinnovo del contratto nazionale in cui si richiama quel testo, con enfasi alquanto eccessiva, è, al solito, quello del settore metalmeccanico, stipulato senza l’adesione della Fiom-Cgil. Ma neppure in questo caso il riferimento appare autorevole. Infatti nella recente vicenda di Pomigliano il cosiddetto “accordo”, più simile in realtà a un regolamento aziendale sottoscritto per adesione, contiene una miriade di deroghe al contratto nazionale senza che vi sia nemmeno un accenno alle complesse procedure previste in materia dal contratto nazionale “separato”, in attuazione appunto della conclamata riforma del sistema contrattuale del gennaio 2009.
Risulta poi che il famoso soggetto “terzo” a cui affidare la determinazione dell’indice previsionale dell’inflazione (il cosiddetto Ipca), vale a dire l’Isae, sia stato soppresso dal decreto legge sulla manovra finanziaria. Il che non appare un buon segnale sotto il profilo della rilevanza strategica del suddetto accordo-quadro.
Infine c’è un’ultima perla da mettere in rilievo. Nessuno sembra ricordarlo più, ma l’accordo-quadro del gennaio 2009, a differenza del ben più serio protocollo del luglio 1993, è stato siglato dal governo non come “terzo” ma come “parte”, vale a dire come datore di lavoro del pubblico impiego. La sigla del governo riguardava quindi l’estensione del nuovo sistema contrattuale al pubblico impiego, con particolare riferimento alla valorizzazione della contrattazione di secondo livello, da svolgere naturalmente sulla base dei rigorosi criteri meritocratici previsti in parallelo dalla nota “riforma Brunetta”. Accade tuttavia che la manovra finanziaria in corso abbia disposto nientemeno che il blocco per tre anni della contrattazione nel pubblico impiego. Ammesso che il provvedimento sia giustificato dalle esigenze superiori di contenimento della finanza pubblica, questo non significa, tecnicamente, revoca della sottoscrizione da parte del governo del celebrato accordo-quadro del 2009? A me pare che si possa sostenere, sul piano giuridico, che quell’accordo non esiste più, per fatti concludenti.
Aggiungo un interrogativo. E’ legittimo, in Italia, un blocco delle retribuzioni disposto per legge? Finora gli interventi di legge di carattere restrittivo in materia di retribuzione hanno avuto carattere limitato e circoscritto: basti ricordare la cosiddetta sterilizzazione della indennità di anzianità e il taglio di 4 punti della scala mobile. E in questa chiave, in ragione appunto del loro carattere limitato e circoscritto, quegli interventi sono stati giudicati legittimi, con qualche riserva, dalla Corte Costituzionale. Ma qui siamo di fronte a un intervento autoritativo, su materie retributive e dunque sulla libertà contrattuale, di portata generale, riferita a più di tre milioni di lavoratori dipendenti. Nessuno si interroga sulla legittimità di questo provvedimento?
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