Published on Maggio 17th, 2010 | by Nidil_Firenze
3Mercati da assicurare o da imbrigliare. Per una politica economica espansiva
“Dobbiamo rassicurare i mercati”. Questo è l’imperativo che porterà i governi dei paesi dell’Unione a mettere in atto tagli draconiani alla propria spesa. Secondo il Washington Post “l’eccezione europea, il modello sociale più generoso del pianeta, ha i giorni contati”. Questa è la posta in gioco delle scelte dei politici nottetempo allertati al capezzale delle borse.
Tutto chiaro? A me non pare proprio.
Per quale ragione mentre stiamo attraversando una delle peggiori crisi economiche dal dopoguerra si devono mettere in atto politiche restrittive? Mi sembrava di aver compreso che il ruolo anticiclico della spesa pubblica fosse riconosciuto anche dagli economisti neoliberisti. Ricordavo che la relazione tra riduzione della spesa pubblica e minore propensione al consumo fosse limpidamente evidente, come evidenti sembravano le conseguenze di un taglio alla spesa sulla domanda aggregata. Altrettanto chiaro mi appariva il fatto che per un paese esportatore come il nostro un indebolimento dell’euro in questa condizione fosse una manna dal cielo e non una ragione di salasso. E invece pare non sia così.
Un fattore destabilizzante sembra aver d’improvviso modificato le più solide ricette macroeconomiche: i “mercati” (finanziari).
Se davvero a causa dei “mercati” le finestre pensionistiche verranno chiuse, l’erogazione del TFR verrà posticipata, gli aumenti contrattuali congelati, le occasioni di lavoro pubblico ulteriormente ridotte e, non ultimo, dovremo nuovamente mettere da parte la lungamente attesa estensione dello stato sociale ai precari, allora voglio proprio comprendere perché!
Chi sono i “mercati” e perché dobbiamo necessariamente “rassicurarli”?
Dietro al neutro termine “mercati” sappiamo tutti che si celano persone e organizzazioni fatte da persone. Qui non ci interessa stabilire quali sino gli interessi che rappresentano, siano quelli dei fondi pensione di lavoratori o dei curatori dei patrimoni dell’alta borghesia internazionale. Ciò che interessa è conoscere come agiscono e qual è la ratio che guida le loro scelte. E’ ampiamente riconosciuto che l’obiettivo principale delle persone che fanno i mercati è quello di accrescere quanto più possibile la rendita monetaria di capitali freneticamente in movimento. Si tratta di fare i soldi con i soldi. Ma non ci sarebbe niente di male se si trattasse di semplici scommesse sulla vincita o la sconfitta di imprese, banche o valute. Il problema è che chi scommette su un potenziale vincente comprandone le azioni lo fa nella consapevolezza che lo supporterà fino a quando continuerà a vincere e che, un’ora prima della sua paventata debacle, lo mollerà alla sua sorte. Questo provoca repentine ascese e repentini crolli, ovvero continua instabilità. In altre parole, gli uomini che fanno i mercati non ambiscono ad una crescita continua della prosperità, ma tramano avidamente per il crollo dei vincenti, in modo da capitalizzare quanto più possibile. L’uomo dei mercati non è dunque un uomo fedele, ma è colui che sull’altare del matrimonio pensa avidamente al prossimo tradimento. E’ la vedova nera che uccide i propri amanti.
Eppure lo dobbiamo rassicurare.
Pur tuttavia, non ci sarebbe niente di male se l’instabilità fosse il risultato di sanzioni dei “mercati” a comportamenti socialmente iniqui da parte delle società quotate in borsa. Ma la perversità della finanza sta, da un lato, nei criteri attraverso cui si stabilisce chi vince e chi perde la partita sui cui viene fatta la scommessa, dall’alto, i modi con cui le quote delle scommesse sono fissate. Sappiamo che sono ritenuti vincenti sono coloro che hanno alti fatturati o coloro che avendone di bassi promettono ristrutturazioni che aumentino la produttività del capitale investito. Tra le regole da rispettare non sono però considerati i mezzi attraverso cui i fatturati o la produttività sono fatti crescere. Non c’è un briciolo di etica nel considerare come si può vincere la partita, l’importante è il risultato realizzato. A chi è chiesto di comprare azioni Fiat non importa nulla sul modo in cui il piano produttivo dell’impresa torinese verrà messo in atto, l’importante è che faccia intravedere una crescita di fatturato in un periodo non troppo lungo. Per usare una metafora calcistica, i giocatori di una partita del campionato della finanza non si aspetteranno sanzioni per interventi fallosi, potranno accompagnare la palla in porta con la mano, potranno anche giocare con un uomo in più. Nessun cartellino rosso sarà esibito, per esser forgiati di un titolo basterà vincere.
Gli uomini dei mercati non si sono posti il problema della conseguenza del far crescere il valore di Parmalat, di supportare banche che emettevano mutui spazzatura, di mandare sull’orlo della bancarotta paesi interi come la Grecia. Gli uomini-mercato sono privi di morale. Nascosti dietro ad un computer commettono spesso delitti contro lavoratori, cittadini e consumatori, ma, come numeri tra i numeri, sanno di non essere singolarmente responsabili della sofferenza altrui. Rispondono e agiscono come è stato insegnato loro nelle business school che hanno frequentato, come chiesto loro dai capi che li spronano per far guadagnare quanto possibile i loro clienti ma, talvolta, per mettere fraudolentemente da parte denaro utile alla loro ascesa sociale. Se mai ci sarà un processo di Norimberga per questi aguzzini ci saranno osservatori illuminati che parleranno, ancora una volta, della banalità del male.
Sistematica instabilità e immoralità, si diceva. A ciò si deve aggiungere che le informazioni alla base delle scommesse finanziarie sono tanto autorevoli quanto tendenziose e tutt’altro che imparziali. Più di una volta le agenzie di rating sono state smascherate, basti pensare al caso Enron. Più di una volta si sono rivelate catturate da quelli che avrebbero dovuto controllare, si tratta di controllori controllati. Ecco dunque che il nostro benessere individuale e collettivo è oggi messo in discussione da un insieme disorganizzato di individui amorali regolati da rispettabili agenzie spesso colluse.
La finanziarizzazione dell’economia sta manifestando dunque i propri effetti. Ma, a differenza di quanto si pensava in passato, la finanza non fa solo la guerra all’economia reale, strapazzandola con continui giri della morte e accorciandone gli orizzonti, oggi ha superato un ulteriore stadio, fa la guerra agli stati. Impone loro le priorità e le linee guida e, nel nostro caso, specifico, propone ricette di politica economica insensate.
Il declassamento da parte delle agenzie di rating dei titoli pubblici dei paesi europei ha aumentato vertiginosamente i loro già alti tassi di interesse del loro debito con l’effetto di creare una situazione di potenziale insolvibilità. L’intervento della BCE volto ad assicurare l’eventuale acquisto dei titoli dei paesi insolventi ha dato respiro al sistema, o meglio, ha permesso agli uomini dei mercati che avevano speculato su quei debiti di capitalizzare il proprio guadagno. L’insolito intervento della BCE, paventando futura inflazione, ha però indebolito l’euro. E, dato che l’unico mandato della Banca Centrale è quello di salvaguardare l’inflazione, ora deve questa deve assicurare i “mercati” che non si troverà mai nella condizione di dover comprare titoli di stato spazzatura. Ecco dunque la ragione per cui ora impone ai paesi europei porcelli (tra cui anche l’Italia) misure restrittive.
Insomma, la paura che gli uomini dei mercati speculassero sui paesi europei fino a farli fallire ha condotto ad un peggioramento delle condizioni generali dei cittadini. Ma non è vero che senza applicare misure restrittive tutti perderemo e che l’inizio di questa perdita è indicato dai centinaia di migliaia di miliardi bruciati in questi giorni. I soldi non bruciano, passano solo di mano. E qualcuno si è arricchito. Si sono arricchiti gli speculatori in possesso di titoli stato greci comprati a tassi esorbitanti perché quasi insolvibili e oggi sostanzialmente garantiti dalla BCE.
Per tutte queste ragioni tra poco ci chiederanno un insensato sacrificio. Quando accadrà dovremo trovare la forza culturale di staccarci dalla cultura finanziario-centrica dominante per ribadire con forza che non è il momento di stravolgere le teorie macroeconomiche, ma che è il caso di sostenere i redditi attraverso la spesa pubblica e che, allo stesso tempo, abbiamo un’idea ben precisa su chi deve pagare questa ennesima crisi finanziaria. Per quale ragione se nel Golfo del Messico si apre una falla in una piattaforma petrolifera si possono chiedere risarcimenti alla BP, e quando gli uomini dei mercati producono crisi sociali pesantissime e cicliche li dobbiamo lasciare con la loro rendita in tasca.
I mercati non devono essere rassicurati ma imbrigliati affinché non generino effetti perversi in grado di fare perdere posti di lavoro o far tramontare i sogni di un progresso socio-economico.
Ci diranno che dovremo soffrire per il bene di tutti, ma forse dovremmo iniziare ad urlare e far urlare le cause della sofferenza e far comprendere che le ricette imposte dal medico porteranno ad un progressivo deperimento, sicuramente di una grossa fetta della società.
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