Published on Maggio 27th, 2010 | by Nidil_Firenze
3– scuola = + PIL
Cosa non si farebbe per aumentare il PIL di uno zerovirgolazeroqualcosa. L’ultima trovata è quella che arriva dal Ministro dell’Istruzione in persona. A suo avviso posticipare il rientro scolastico di qualche settimana genererebbe grandi benefici all’industria turistica italiana. Questa proposta ha però provocato subito una levata di scudi, sia nella maggioranza che nell’opposizione. Ognuno, a suo modo, ha argomentato l’inutilità di avviare le classi trentine quando quelle siciliane e ha segnalato alla Ministra che proprio per ovviare a questo tipo di discrasia latitudinale le deleghe in materia di calendari scolastici erano state in passato attribuite alle regioni. Ma se un Ministro della Repubblica propone, con tanto di annunci ufficiali, questa soluzione una ragione ci sarà e non possiamo certo liquidarla con la superficialità del leghista di turno. Partiamo dagli studenti. Credete che la lunga pausa estiva possa aiutarli? A giovarne sarà sicuramente l’abbronzatura dei giovani abitanti delle città marittime e forse anche il salvadanaio di qualche ragazzetto che si guadagna la paghetta estiva. Ma, come osserva Irene Tinagli su La Stampa citando una ricerca della Duke University, è stato dimostrato che le lunghe pause estive provocano dei processi di disapprendimento, specialmente in matematica. A ciò si deve aggiungere un ulteriore effetto di questo propagandato provvedimento: l’aumento dei carichi di lavoro degli studenti nei mesi successivi. Chissà se la maggiore tonicità raggiunta dai ragazzi nella giunta alle ferie estive permetterà loro di affrontare meglio ritmi di lezione più serrati. Si dirà allora che l’apertura delle scuole ad ottobre agevolerà le famiglie. Ma che tipo di famiglie? Credete forse che la crisi economica in corso lasci molti margini di manovra nei bilanci delle famiglie medie, tanto da portarle ad impegnarne una parte per le extra vacanze settembrine? E cosa penseranno di questa proposta i genitori con una occupazione normale che generalmente trovano nella scuola anche una economica baby-sitter? Si capisce dunque che quella della nostra Ministra è una brillante proposta per soddisfare le richieste dei salotti che probabilmente frequenta, di quelli con la case al mare, di quelli che al mare o in montagna ci possono stare quanto vogliono, senza rendere conto di ferie da chiedere o di salario da guadagnare. Ma se non va a favore di studenti e delle famiglie medie, cosa giustifica una tale uscita? Come già anticipato, la Ministra ci fa sapere che si tratta di una misura a sostegno dell’industria turistica. Ma ha per caso in tasca una stima di quanti siano i vantaggi per alberghi e ristoranti che possono derivare da uno slittamento dell’apertura nelle scuole? In caso affermativo vorremmo proprio vederla! Non riteniamo infatti plausibile che qualche cena o soggiorno in più da parte di una ristretta cerchia di famiglie italiane (perché all’estero i carichi di lavoro delle scuole sono molto più distribuiti durante l’anno) possa compensare gli eventuali svantaggi arrecati alle famiglie con figli in età scolare. Mi viene dunque da pensare che la ragione sia quella di ridurre i costi dell’istruzione pubblica. Magari Maria S. Gelmini ritiene probabilmente che concentrando la durata dell’insegnamento ne aumenterà l’intensità. Magari spostando qualche lezione al pomeriggio si riuscirà anche a ripristinare un surrogato del tempo pieno da lei stessa scippato. O forse quindici giorni in meno di luci accese e gessetti consumati sulle lavagne potrà compensare il 10% dei tagli che Tremonti ha imposto a lei e ai suoi ai colleghi ministri. Ma anche questa spiegazione non convince. Si deve quindi pensare che quella della Ministra sia un’uscita poco fortunata, pensata come un’innocente e poco costosa innovazione. Ma questo non significa che si può essere indulgenti con la proponitrice della riforma del calendario scolastico. Si tratta infatti di una proposta incoscientemente grave. Fa comprendere l’impreparatezza tecnica della titolare di uno dei dicasteri strategicamente più rilevanti del governo e, allo stesso tempo, la cultura ispiratrice di ogni misura ultimamente proposta dal MIUR. Meno scuola per più PIL è infatti un’equazione evidentemente sbagliata ma proponibile perché avvalorata e legittimata dall’ideologia che permea l’attuale responsabile di scuola, università e ricerca: qualsiasi cosa è possibile basta che segnali che segnali un impegno nei confronti della crescita economia. E’ la stessa logica già applicata con l’università. Lo stesso motivo ripetitivo che la sta portando alla canna del gas: si rallenta la distribuzione dell’acqua agli atenei affinché questi vadano ad abbeverarsi alla fonte delle imprese. Ma anche in questo caso, non si riflette sull’effetto più ampio che questa misura può recare all’istruzione terziaria e all’avanzamento scientifico. E, anche in questo caso, non si riesce a stimare se l’incentivo a collaborare con le imprese sia sufficiente a compensare i costi sociali e scientifici di una contrazione del sistema universitario italiano. Il problema non è dunque che una Ministra ideologicamente e tremontianamente guidata possa avere delle uscite infelici, come quella sulla scuola ad ottobre, ma che con la stessa impreparatezza e nonchalance sta assetando due delle funzioni più sensibili per lo sviluppo futuro come scuola e università.
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