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Published on Marzo 1st, 2011 | by Nidil_Firenze

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Un nuovo stage contro la disoccupazione giovanile

di Andrea Garnero , Glenda Quintini e Stefano Scarpetta (www.lavoce.info)

Per combattere la disoccupazione giovanile e i suoi duraturi effetti negativi servono riforme del mercato del lavoro e della formazione. Esiste però uno strumento che se usato correttamente potrebbe aiutare subito i diplomandi e i laureandi ad arrivare sul mercato del lavoro con un curriculum più adeguato: lo stage. Indispensabili, però, nuove regole. Per renderlo uno strumento riservato ai soli studenti o neolaureati, da utilizzare per un periodo di tempo limitato, con rimborso spese, tutor e progetto formativo.

La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto in dicembre il picco più alto dall’inizio della crisi, al 29 per cento. Ormai un giovane su tre sul mercato del lavoro è disoccupato. Si tratta di cifre preoccupanti e ben più alte del 20 per cento della media dei paesi dell’Unione Europea. Il recente rapporto Ocse “Off to a good start? Jobs for Youth” sull’occupazione giovanile mostra come anche l’incidenza dei disoccupati di lungo periodo (più di sei mesi) sia la più alta tra i paesi appartenenti all’organizzazione.

GIOVANI IN DIFFICOLTÀ

Ma chi sono i giovani che rimangono indietro nel mercato del lavoro? Si possono dividere in due gruppi. Da una parte, ci sono i cosiddetti “left behind“, lasciati indietro, cioè giovani che hanno cumulato svantaggi non terminando la scuola superiore – in Italia sono più del 20 per cento – oppure giovani immigrati o originari di aree povere e svantaggiate. Tra questi il rischio di non riuscire a integrarsi nel mercato del lavoro è molto forte. Nel nostro paese, la percentuale dei giovani che non stanno seguendo un percorso formativo e che non lavorano (i Neet, neither in employment nor in education and training) è tra le più alte nei paesi sviluppati. Solo la Spagna, profondamente colpita dalla crisi, ci supera nel secondo trimestre 2010 (figura 1).

Figura 1. Giovani Neet, 2008-2010
Percentuale di giovani di età compresa tra 15 e 24 anni

Fonte: Ocse (2010), Off to a good start? Jobs for Youth, Oecd, Paris.

Esiste, poi, un secondo gruppo di giovani con difficoltà di integrazione nel mercato (i cosiddetti “poorly integrated“): si tratta dei diplomati e dei laureati che non trovano un lavoro a tempo indeterminato e alternano contratti temporanei a periodi di disoccupazione e inattività. Uno studio recentepubblicato dall’Ocse trova che l’11 per cento dei diplomati italiani, nei cinque anni che seguono l’uscita dalla scuola, alterna brevi esperienze di lavoro, disoccupazione e inattività senza riuscire a ottenere un impiego stabile: un tasso quasi doppio rispetto alla Francia o al Portogallo anche se inferiore a quello registrato tra i giovani diplomati spagnoli. Inoltre, nuove forme di precarietà sono apparse nel nostro paese nell’ultimo decennio – per esempio, l’ampia diffusione dei contratti di lavoro autonomo con partita Iva in un quadro che, di fatto, assomiglia molto al lavoro dipendente. L’Italia ha il tasso più alto in Europa di giovani lavoratori autonomi: tra i giovani di 25-39 anni, il 15 per cento sono classificati come lavoratori autonomi senza dipendenti, contro il 6 per cento in media in Europa e 5 punti percentuali in più rispetto al 1999. (1)
I giovani italiani non sono soli in Europa a trovarsi di fronte a queste difficoltà: paesi come Spagna, Portogallo, Grecia e Francia, che hanno come noi un mercato del lavoro segmentato – diviso cioè tra i ben protetti e i precari a vita – hanno un alto numero di giovani in situazioni lavorative precarie.

LO STAGE COM’È E COME DOVREBBE ESSERE

Come argomentano il rapporto Ocse e la recente Annual Growth Survey della Commissione europea, per combattere la disoccupazione giovanile e i suoi duraturi effetti negativi servono riforme del mercato del lavoro e della formazione. Esiste però uno strumento che se usato correttamente potrebbe aiutare da subito i diplomandi e i laureandi ad arrivare sul mercato del lavoro con un curriculum più spendibile. Si tratta dello stage. Potrebbe sembrare una provocazione visto che negli ultimi anni da strumento di formazione gli stage sono stati spesso intesi come una sorta di lavoro subordinato non pagato. Nonostante la crisi, gli stage hanno continuato ad aumentare in numero assoluto: il rapporto Excelsior-Unioncamere della scorsa estate ha registrato circa 321.850 stage nel settore privato nel 2009, di cui un terzo nell’industria e due terzi nei servizi, in aumento del 5,5 per cento sul 2008. Èpresto per dirlo e i dati sono molto scarsi, ma il sospetto che gli stage stiano parzialmente sostituendo posti di lavoro si fa forte.
Tuttavia, il rapporto Ocse pone il nostro paese agli ultimi posti rispetto alla proporzione di studenti-lavoratori (figura 2): da un certo punto di vista questo potrebbe essere positivo perché implica che i nostri studenti possono concentrarsi totalmente sugli studi. Dall’altra parte, invece, significa che gli studenti arrivano sul mercato del lavoro senza nessuna esperienza di lavoro seppur breve. I neolaureati si trovano così imbrigliati nel circolo vizioso “no lavoro senza esperienza, no esperienza senza lavoro” e lo stage anche non pagato e senza alcuna validità formativa diventa l’unica alternativa.

Figura 2. Studio e lavoro nei paesi Ocse, 2008
Percentuale dei giovani studenti

Fonte: Basi di dati sull’educazione Ocse e inchiesta europea sulla forza lavoro.

La Francia e il Belgio, che come l’Italia sono fondate su un modello di “studio, poi lavoro” (diversamente dalla Germania ad esempio dove la formazione professionale è molto forte), hanno fatto alcune riforme significative per rendere la transizione scuola-lavoro più morbida, valorizzando e regolamentando anche gli stage. In Belgio, il servizio per l’impiego ha creato una base di dati di offerte di stage (remunerati) e lavori per studenti e il governo federale ha introdotto una riduzione d’imposta di 400 euro a trimestre per le imprese che offrono un supervisore a studenti in stage o apprendistato.La Francia, che fino a qualche anno fa si trovava in una situazione molto simile alla nostra, ha varato nel 2006 un accordo che prevede l’obbligo di una convenzione di stage tra università, impresa e studente e una remunerazione minima oltre i tre mesi di stage di 400 euro al mese (30 per cento dello Smic, il salario minimo), ma limitata al solo settore privato. Nel 2009, nel bel mezzo della crisi, il governo ha abbassato la soglia a due mesi. Anche in Portogallo e Svizzera gli stage sono retribuiti mentre in Inghilterra, invece, sono previsti solo all’interno di un percorso formativo.
Una riforma dell’ordinamento degli stage in Italia sarebbe importante non solo per ridare dignità allo strumento, ma per aiutare una migliore integrazione nel mercato del lavoro. Innanzitutto, lo stage dovrebbe essere svolto solo da studenti delle scuole superiori, dell’università e da neo-laureati (in un periodo massimo di un anno dalla laurea) in seguito a una convenzione con l’ente formativo. Dovrebbe avere una durata limitata e un minimo di contenuto formativo, fissato ad esempio in un numero di ore per settimana e garantito dall’assegnamento di un tutor sul posto di lavoro. Il vincolo dello stage solo per gli studenti o i neo-laureati è essenziale per garantire che sia veramente un elemento del progetto formativo e non un’altra forma di lavoro precario e a basso costo, come è successo con gli stagisti cassieri al supermercato e come è stato recentemente sottolineato anche dal segretario della Cgil Susanna Camusso.
Il numero di stagisti in azienda dovrebbe essere limitato in proporzione ai dipendenti e il loro uso non reiterato sistematicamente nel tempo. Gli stagisti non dovrebbero rimpiazzare veri e propri posti di lavoro né personale in malattia, maternità, ferie, mobilità o Cig. La nuova normativa dovrebbe poi prevedere l’obbligo di un rimborso spese minimo, che aumenti con il livello di studi, e istituire la figura di un tutor e di un progetto formativo concordato nella convenzione. Dovrebbe poi prevedere sanzioni per chi infrange le regole (il pacchetto Treu, pur legiferando in questo senso, non prevedeva sanzioni).
Si tratta di pochi principi per porre fine a un abuso che rischia di costare caro alla generazione degli under 30. Permetterebbero inoltre di ridare valore e dignità allo strumento dello stage, ma soprattutto, come ha chiesto il presidente Napolitano, permetterebbero di “aprire ai ragazzi nuove possibilità di occupazione e vita dignitosa”.


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